Quando le conseguenze di un errore sanitario provocano il decesso del paziente, il risarcimento dei danni spettanti agli eredi della vittima hanno natura diversa rispetto ai casi in cui si subisca personalmente un danno fisico, per quanto grave e irreversibile questo possa rivelarsi. Approfondiamo che cosa si intende per danno tanatologico, danno biologico terminale e danno catastrofale, quali sono i loro campi di applicazione, l’esatta definizione attribuita dalla giurisprudenza e come procedere alla relativa quantificazione.
Il danno tanatologico viene definito come danno da perdita del bene vita, ma la sua applicazione a livello pratico, ovvero nella sfera di un potenziale risarcimento, è da tempo oggetto di discussione e confronto e vede contrapposti:
È bene, anche se piuttosto ovvio, fare presente che in ogni caso i destinatari designati del risarcimento sono gli eredi e congiunti della vittima, i quali, se il danno tanatologico fosse ritenuto risarcibile, potrebbero di fatto accedere ad una forma di risarcimento ulteriore rispetto a quanto previsto per iure proprio e iure hereditatis.
La Cassazione si è espressa più volte e con pareri differenti in quest’ambito nel corso degli anni, arrivando a concludere a Sezioni Unite, nel 2015, che una persona deceduta sul colpo in seguito ad un illecito non abbia automaticamente diritto ad un risarcimento da trasferire agli eredi motivato dalla perdita del bene vita in sé.
Questo non significa, tuttavia, che venga meno il diritto al risarcimento per altre poste di danno, come quello biologico terminale e catastrofale. Diventa in tal senso essenziale fare chiarezza sulla differenza terminologica e sostanziale tra danno tanatologico e danno terminale e catastrofale.
I danni di tipo terminale, in generale, sussistono quando tra il momento del fatto lesivo e la morte della vittima trascorre un certo lasso di tempo: è proprio questo intervallo di tempo che dà diritto ad un ulteriore risarcimento. A differenza del danno tanatologico, quindi, a rendere fondata la richiesta di risarcimento è il richiamo ai danni, biologici e/o morali, che la vittima ha subito nel termine intercorrente tra l’evento lesivo sino alla morte. In questo senso, si distingue tra:
Il danno biologico terminale è risarcibile nel caso in cui la vittima sia sopravvissuta per un minimo di 24 ore in seguito al fatto lesivo subito. Per il calcolo del danno catastrofale, invece, si è consolidato medio tempore l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non va considerato il tempo minimo di sopravvivenza con la previsione del diritto al risarcimento, qualora si appuri che la vittima sia stata cosciente ed abbia sofferto, anche solo per un breve intervallo di tempo, l’imminenza della propria morte.
Per quanto detto, mentre nel caso del danno biologico terminale il risarcimento può essere richiesto e ottenuto a prescindere dallo stato di coscienza della vittima, la richiesta di risarcimento per danno catastrofale presuppone necessariamente che la persona sia vigile e cosciente e, in quanto tale, moralmente e psicologicamente colpita dalla prossima dipartita.
È comunque evidente che la quantificazione del danno catastrofale possa essere influenzata dalla durata della lucida agonia e il risarcimento aumentare proporzionalmente al protrarsi della sofferenza. Ai fini della quantificazione del danno biologico terminale si farà riferimento alle tabelle di Milano o Roma con adeguamenti correlati alla necessaria personalizzazione del caso. Per il danno catastrofale si procede prevalentemente in via equitativa.
I congiunti della vittima di un errore medico possono, in conclusione, far valere i propri diritti avanzando richiesta di risarcimento, oltre che per danno patrimoniale – vale a dire per la perdita di benefici economici venuti a mancare insieme al soggetto – e per i danni esistenziali riportati in prima persona in seguito alla traumatica perdita di un affetto, anche per i danni fisici e morali subiti dalla vittima prima di morire e giudicati trasmissibili agli eredi.
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